giovedì 8 aprile 2010

UN COLLEGA SCRIVE AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO


Inviata ai giornali e alla Segreteria della Presidenza della Repubblica
Un dramma che si consuma tra le mura di un palazzo che non c'è, che non c'è mai stato. Uomini e donne senza futuro, feriti da un presente ignobile e annientati dalla malinconia di un passato glorioso. Scorre il tempo, lungo gli argini di un fiume ormai estinto, tra rocce acuminate e lava ardente, e una massa di sterco putrescente inquina irreparabilmente le loro esistenze. Si rovista nelle pieghe delle tasche alla ricerca anche solo di un nichelino da spendere in balocchi, si finge un sorriso di circostanza, ma il pensiero è sempre lì, sulla fine dei propri sogni. E lo sguardo dei potenti fugge altrove, perché è meglio che non si sappia. "Intervistate i ricchi", urla qualcuno: finisca nell'oblio la miseria, perché siamo felici, siamo forti e nessun pianga più le sue ragioni. "Lavorate e tacete, perché chi vuole può", urla chi si è arroccato su un castello di finta giustizia. Sorridono i volti di plastica di uomini che neppure immaginano cosa sia il dolore di un regalo negato ai figli, di un Natale con i piatti vuoti e di un nuovo anno uguale a quello vecchio. Egregio Presidente, non sono gli scenari di un'apocalisse lontana nel tempo, raccontata sulle pagine di un testo antico: sono parole scritte con le lacrime di chi sognava un futuro diverso, vittima dello scempio provocato da leggi inique che consentono di ridurre la gente in povertà. Gli imprenditori vittime della crisi piangono con i loro dipendenti, ed è giusto che sia così; ma chi ha rubato, oppure ha cercato di farlo, ora ride e si sfrega le mani, e sono solo gli altri a sprofondare nella melma.Ho visto morire il sogno Olivetti, sono una delle tante carcasse ormai decomposte che Eutelia ha passato ad Agile e Agile a Omega. Sono un uomo con tanti ideali, tanti interessi, ma defraudato della mia dignità di lavoratore e di essere vivente, calpestato, mortificato, umiliato, minacciato e anche deriso. Sono stato derubato dei miei stipendi e la politica è rimasta a guardare; ho strappato le mie notti a un caldo giaciglio, trascorrendole in catene a piazza Barberini a Roma, e in cambio ho avuto la rabbia di uomini come me, che però non conoscevano la mia realtà perché la stampa ha giocato con gli specchi deformanti. Ho trascorso settimane barricato tra mura straniere, ho venduto arance per aiutare colleghi più poveri di me, ho lavorato tra pioggia e vento in un ufficio senza pareti e senza tetto, perché a Napoli, nella Sua bella Napoli, ci è stata rubata anche la dignità di una sede dove aspettare la sentenza. Credevo di avere ancora un posto in questa strana società che prende tanto e restituisce poco. Figlio di una guardia giurata e di una casalinga, ho studiato e lavorato, laureandomi e realizzando i sogni di chi non ha potuto farlo ma si è sacrificato perché ci riuscissi io. Ho lottato per i miei ideali, ho impegnato il mio tempo libero dedicandomi al sociale, in tutte le sue forme. Ho imparato a sopravvivere, creandomi professionalità parallele in molti settori, che ora non interessano a nessuno. Credevo di poter essere utile al mondo e non di dover soltanto elemosinare un posto di lavoro. Ho sbagliato tante cose, a quel che vedo.E oggi, che mi è rimasto così poco, sottrarrò alla mia dignità gli ultimi scampoli di lealtà, laverò vetri in giacca e cravatta, pulirò fanali sporchi. Ruberò, se sarò costretto a farlo perché qualcuno mi ascolti. Darò anche fuoco a una giornata di sole, se qualcuno scriverà che sono vittima di una realtà che non mi ha voluto ascoltare.Egregio Sig. Presidente, non chiedo molto alla vita e alla società. Solo di poter mettere a frutto quello che ho imparato, e di guadagnare quel che valgo, come ho sempre fatto. Niente di più.

mercoledì 7 aprile 2010

PERCHE' DELEGARE?



Possiamo continuare a delegare la nostra vertenza ai giudici fallimentari e ai vertici sindacali? Perchè non ci mobilitiamo? Perchè non chiediamo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di riceverci?